La leggenda di Re Rachis nel romanzo “La vendetta del longobardo”
Uscì nel 2005 La vendetta del longobardo, secondo capitolo di una trilogia, edita da Piemme, dell’autore friulano Marco Salvador ambientata proprio al tempo dei longobardi tra VII e X secolo. Tra le pagine del suo romanzo (che riscosse anche un discreto successo a livello nazionale) si trova una bellissima narrazione del prodigio di Re Rachis, ossia l’apparizione miracolosa che, secondo la tradizione, il re longobardo ebbe trovandosi di passaggio per una delle sue cacce tra i boschi del Monte Amiata e che diede vita all’abbazia di San Salvatore.
Ho sempre trovato il racconto di Salvador particolarmente affascinante perché, come spesso avviene, quando si mette per iscritto una leggenda che fino a quel momento era stata trasmessa solo in forma orale, o al più con delle iscrizioni in latino nei dipinti del Nasini o qualche antica testimonianza, è come se si rigenerasse una sorta di endoxa, come se si stabilisse un nuovo e più forte legame tra un passato così distante la generazione contemporanea.
Salvador raccontò la leggenda di Rachis con queste parole:
“Non fu un viaggio complicato, anche se vestivo come un servo romano e per cavalcature avevamo due asini. Mentre trottavamo, Giovanni parlava di continuo. Con la sua voce bassa e profonda, mi raccontò di come re Rachis un giorno avesse voluto salire sulla cima dell’Amiata e, giunto in certo luogo a sette miglia dalla vetta, fosse stato colto da un irrefrenabile desiderio di sostare nei pressi di una sporgenza del monte. – Devi sapere che Rachis allora non era un uomo pio. Anzi, preferiva le feste a palazzo e le cacce più delle funzioni e delle processioni. Nonostante sua moglie Tassia avesse appena partorito una bambina, spesso gozzovigliava con altre donne di pessimi costumi. Una volta. ubriaco bestemmiò dicendo: io, questa faccenda di un Dio uno e trino, proprio non la capisco e se non la capisco forse non è vera! Accadde nel maggio dell’anno 746 e dodici giorni dopo salì sul monte. Bene, giunto sulla sporgenza di cui ti dicevo, guardò giù e vide all’improvviso una luce argentea salire dalla terra, avvolgere un grande abete bianco e poi ridiscendere. Meravigliato, chiese a quelli del suo seguito di cosa si trattasse. Nessuno seppe dargli una spiegazione e proprio nell’attimo in cui stava per andarsene, il portento si ripeté altre due volte. Terra, albero, terra. Con lui c’era il cancelliere Pietro, che si era portato dietro una meridiana portatile per sapere quanto tempo si impiegava a salire e perciò quando si doveva scendere per evitare di trovarsi nei boschi con le tenebre. Pietro, dopo aver visto la luce argentea scendere per la terza volta, orientò la meridiana ed esclamò, pieno di sorpresa: sono passate tre ore da quando ci siamo fermati qui!, Come? chiesero tutti con stupore, perché pareva fossero passati solo pochi istanti. Allora Rachis capì. Un’unica luce aveva fatto tre azioni su un unico albero per tre ore. Uno e trino! gridò mettendosi in ginocchio. Per fartela breve, diede l’ordine di costruire una chiesa dedicata al Santissimo Salvatore esattamente dove stava l’abete bianco e di usare il suo ceppo come base dell’altare. A farsi carico della faccenda fu il suo amico e consanguineo Erfo, ora abate.”
Se c’era un modo in cui narrare questa storia nella Storia in modo efficace, penso fosse rendendo la narrazione così viva e allo stesso tempo così fedele e credibile. Credo non ci fosse modo migliore per mettere in prosa la leggenda di Re Rachis e della fondazione dell’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata.