I racconti del seccatoio: Ghino di Tacco, il brigante gentiluomo

I racconti del seccatoio: Ghino di Tacco, il brigante gentiluomo

Ghino di Tacco, noto anche come il “brigante gentiluomo”, è una figura storica e leggendaria che incarna l’immagine del ribelle con un codice morale. Vissuto nel XIII secolo, è diventato celebre soprattutto grazie alle sue avventure narrate da Giovanni Boccaccio nel “Decameron” e alla sua menzione da parte di Dante Alighieri nella “Divina Commedia”.

Ghino di Tacco nacque probabilmente a Torrita di Siena, sebbene alcune fonti suggeriscano La Fratta (oggi Sinalunga), in una famiglia nobile, i Cacciaconti Monacheschi Pecorai. Le tensioni politiche e le lotte di potere locali lo portarono a diventare un fuorilegge: dopo l’uccisione del padre Tacco di Ugolino e dello zio, fu dichiarato ribelle dalle autorità senesi. Ghino si rifugiò a Radicofani, una fortezza strategica sulla Via Francigena, da dove iniziò a compiere le sue azioni brigantesche. Radicofani, situato tra la Val d’Orcia e il Monte Amiata, divenne il suo quartier generale, da cui controllava le strade della Toscana meridionale.

La fama di Ghino di Tacco si diffuse rapidamente, in gran parte grazie alle descrizioni letterarie che lo dipingono come un brigante gentiluomo. Secondo i racconti, a differenza di molti altri briganti, Ghino non era violento senza motivo e spesso mostrava generosità nei confronti delle sue vittime, soprattutto se si trattava di poveri e pellegrini. La sua più celebre impresa, narrata da Boccaccio nel “Decameron” (Giornata Decima, Novella Seconda), fu il rapimento dell’abate di Cluny. Secondo la novella, Ghino catturò l’abate mentre attraversava la Via Francigena, ma invece di maltrattarlo, lo ospitò nella sua roccaforte e lo curò dai suoi disturbi di stomaco con una dieta a base di pane e fave. L’abate, impressionato dalla cortesia del brigante, intercedette presso Papa Bonifacio VIII per ottenere il perdono di Ghino, che alla fine venne accolto a Roma e riabilitato.

Dante Alighieri, nella “Divina Commedia”, menziona Ghino di Tacco nel “Purgatorio” (Canto VI, verso 14), collocandolo tra coloro che morirono violentemente. Sebbene Dante non approfondisca il suo carattere, la citazione indica la notorietà del personaggio nell’immaginario dell’epoca. Ghino è stato interpretato come una figura complessa, simbolo di ribellione contro le ingiustizie del potere, e nella tradizione successiva viene visto come un uomo con un proprio codice d’onore.

Le storie di Ghino di Tacco si sono tramandate nei secoli, diventando parte integrante del patrimonio culturale della Toscana, in particolare nelle zone di Radicofani, del Monte Amiata e della Val d’Orcia. Le tracce della sua presenza hanno ormai assunto una natura leggendaria.

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